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Siamo agli inizi di un anno nuovo di zecca, dodici mesi in un’agenda fatta di tante pagine bianche, tutte da scrivere. Rischia di venirmi un attacco di agorafobia, la paura degli spazi vuoti, troppo ampi per le mie capacità.
Eppure di opportunità appropriate per scoprire e colmare questi nuovi orizzonti ciascuno di noi ne ha davanti molte: nuove esperienze personali e professionali, nuove conoscenze e magari un’amicizia vera e profonda, qualche impegno di livello un po’ più intenso per dare una mano a iniziative o persone che lo meritano ma anche, a livello più terra terra, una nuova lettura, una passeggiata all’aria aperta, un’occhiata a tutto quello che ci sta intorno che sono poi un sacco di cose da guardare e capire, non solo da vedere e ascoltare distrattamente.
Il Leader del sorriso
Mi permetto una digressione. La recente scomparsa di David Sassoli, il “Presidente gentile” del Parlamento Europeo, l’ho avvertita come un pugno nello stomaco. È uscito di scena in punta di piedi una settimana prima della scadenza del suo mandato, così non ha creato problemi a nessuno. Non sono un fanatico della politica ma solo un semplice fan dell’Europa, quella che mi pacerebbe abbracciasse tutti senza escludere nessuno, operazione tutt’altro che facile nell’era degli egoismi. David Sassoli, per come l’ho percepito, è rimasto sempre fedele a se stesso, dallo schermo dei TG come da una delle poltrone più rilevanti del nostro Continente e del mondo. Sempre lo stesso sguardo curioso e penetrante, lo stesso sorriso fresco e spontaneo, lo stesso tono di voce pacato anche quando dichiarava convinzioni sulle quali non avrebbe mai fatto un passo indietro.
Il Parlamento italiano è già un ambientino tutt’altro che facile e posso immaginare, per estensione, come sia complesso gestire e armonizzare le istanze di uno eterogeneo come quello europeo. Lui l’ha sempre fatto senza mettersi in mostra, senza anteporre un “io” ad un “noi”. Di sicuro ascoltava e cercava di capire più di quanto non parlasse. E questa mi pare la caratteristica più evidente della sua natura.
Incomunicabilità
Siamo in un’epoca dove l’importante è apparire, a costo di usare toni più alti degli altri e megafoni (Media & C.) più potenti di quelli disponibili a coloro che percepiamo come nemici, non semplici avversari con idee diverse dalle nostre. Sono convinto che la violenza verbale e psicologica non siano migliori di quelle che si basano sulla sopraffazione o sulla strapotenza fisica o sul senso di impunità di uno squallido branco.
Ma a quanti interessa parlare pacatamente per capire il punto di vista di un altro e poterlo valutare, contestare in modo argomentato o persino farlo proprio se ne vale la pena? Non è incomunicabilità, si tratta di ottusa presunzione del proprio infallibile ed immodificabile modello mentale. Invece so quante volte l’ascoltare e lo sforzarmi di capire mi sia stato enormemente utile e mi abbia fatto crescere, nonostante qualche dolorosa mortificazione del mio amor proprio.
Già, ascoltare. Mi torna alla mente un episodio di molto tempo fa. Avevo uno zio, luminare della chirurgia dell’occhio, che ogni due anni dedicava un intero mese ad andare nell’interno del Kenia in posto chiamato Wamba. Faceva parte di un gruppo di medici soprattutto veneti che si davano il cambio per assistere le popolazioni locali, garantendo un efficiente presidio sanitario. In quella zona c’erano parecchie malattie della vista, anche se gli capitava pure di dover ricucire arti lacerati dalla zampata di un leone.
Quella volta con lui sono andati mio padre, ingegnere civile cooptato perché c’era da studiare l’ampiamento dell’ospedale, assieme a mia madre e mia zia che avrebbero funto da infermiere di supporto. Una sera il papà si è diretto fuori dal villaggio per farsi, con la sua falcata ampia e decisa, una bella passeggiata da solo. È stato attorniato da un gruppetto di giovani Masai che hanno iniziato a parlargli fitto fitto nonostante i suoi impotenti dinieghi: della loro lingua non capiva una parola. Allora il più intraprendente dei ragazzini l’ha convinto a gesti a chinarsi verso terra e si è messo a scrivere sulla sabbia con un bastoncino. “Questo qui sarà anche sordo – deve aver pensato – ma almeno saprà leggere …”
La conclusione? È tempo di tornare a parlarci … ma anche a capirci.
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