Editoriale | Delaini & Partners

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Da Glasgow a Reggio Emilia:

la sostenibilità … sostenibile




Lo so, sono fatto così e non ci posso fare nulla. Quando a casa, all’imbrunire, esco da una stanza non posso fare a meno di spegnere la luce anche se figli e moglie non di rado mi hanno preso in giro per questa specie di tic. Addirittura quando sono negli uffici di altri, se esco per ultimo mi viene spontaneo di avvicinarmi all’interruttore per chiuderlo e più di una volta qualcuno mi ha guardato stranito.
Ma non si tratta di una visione profondamente ecologica del mondo, si tratta più modestamente di un’abitudine acquisita e che è diventata una seconda natura. Forse dipende da mio nonno Duilio che negli anni ’50 quando la televisione, una delle prime televisioni, rimaneva accesa senza che nessuno la guardasse esclamava: “Ma per chi parla quello là?” alludendo allo speaker che continuava imperterrito il suo discorso, ignaro che la nostra piccola platea fosse del tutto sguarnita.
Certo, la nostra famiglia viveva in campagna, presso quel lago di Garda ancora privo di turisti in infradito, campeggi con l’odore dei doposole, ristoranti tipici con la tovaglia a quadri e il mercatino del mercoledì. Non c’era nessun motivo economico, nessuna restrizione che ci imponessero quel comportamento spartano, solo una vaga percezione sottopelle che quello che non era indispensabile andasse eliminato e pure quello che era superfluo andasse controllato e contingentato.

Teotihuacan
Non sto facendo – vorrei essere chiaro – nessun elogio delle privazioni o dell’ascetismo. Dico solo che questi concetti che portano ad un impiego controllato delle risorse, di qualsiasi risorsa anche banale, non sono una novità dell’era di Greta Thunberg, anzi parecchi anni fa erano fortemente innestati nelle abitudini quotidiane di quasi tutti. Poi il boom economico degli anni ‘60, la ricchezza o almeno il benessere che permeavano una parte sempre maggiore della popolazione, ci hanno inebriato. È stata colpa della generazione del dopoguerra, la mia generazione tra l’altro, se si è iniziato a pensare che più risorse si avevano a portata di mano più se ne ”dovevano” consumare.
Non che la cosa sia una scoperta o un vizio solo recente: a Città del Messico una guida mi spiegava che le incantevoli rovine di Teotihuacan, la città con le piramidi a terrazze dedicate al Sole e alla Luna, era stata abbandonata non per un’invasione nemica ma semplicemente perché la fame della legna che quotidianamente serviva ad una metropoli sempre più grande e sempre più affamata di risorse aveva portato a disboscare un’area così grande che gli approvvigionamenti erano diventati praticamente impossibili.
Forse era una balla e non so se sia andata proprio così – non sono affatto un esperto in materia – ma la spiegazione mi ha intrigato parecchio. E anche intristito.

Da Glasgow …
In questi giorni telegiornali e internet non fanno che aprire parlando di Glasgow e di Cop26. La mia esperienza (in materie completamente diverse, per carità!) suggerisce che ogni innovazione parte da un ristretto gruppo i visionari e poi, quando va bene e va bene di rado, si allarga agli altri. Mettere tutto il mondo attorno ad un tavolo a parlare scenari ecologici ed evoluzione green mi suona più che altro come una fiera delle vanità, una specie di red carpet sul quale i leader sono ansiosi di sfilare declamando ideali meravigliosi unicamente per dare una verniciata di rispetto a politiche economiche che puntano a tutt’altro. Sono comunque i leader che ha eletto ciascuno di noi, io per primo.
Non mi scandalizzo (però mi incavolo) per i 400 jet privati che si sono fiondati in Scozia nell’occasione inquinando a desta e a manca, mi danno pensiero piuttosto le date di scadenza degli obiettivi (pure vaghi) che ogni Stato ha proclamato, tutti ben oltre gli orizzonti elettorali degli attuali Presidenti e Primi Ministri.

… a Reggio Emilia
Poi mi capita di tornare nei dintorni di casa (o quasi) e di assaporare una ventata di aria fresca. È stato partecipando all’evento on line della Blulink di Reggio Emilia, Gruppo Marposs, denominato “Quality for Italy-Italy for Quality” che parte dalla qualità solo perché le ISO 9000 hanno fatto da scuola per tutte le normative seguenti, come ambiente e sicurezza ma non solo.
In questo incontro tutto è stato riportato a misura d’uomo, o d’aziende se preferite, partendo dalle considerazioni di quello che ancora non è chiaro, codificato o semplicemente misurabile dell’approccio alla sostenibilità. Perché di strada ne dobbiamo ancora percorrere parecchia prima di impostare metriche e logiche cui tutti possano ispirarsi. Però alcuni elementi già ci sono e alcuni percorsi cominciano ad essere intrapresi dalle aziende che nella sostenibilità credono fortemente, come potrebbe essere il caso del Gruppo Bitron che è intervenuto tra i relatori di cui si riferisce a parte. Ma del resto, come si usa dire, ogni lungo cammino inizia con un semplice primo passo.

Per concludere, un pistolotto che mi perdonerete perché lo sento nel profondo. Cari giovani, cari idealisti, l’importante è che vi teniate lontani dagli esempi da cicala dei vostri padri e nonni, gli stessi che oggi brontolano a bordo di auto poco risparmiose e in stanze super riscaldate, e ragioniate con la vostra testa. Sbaglierete, molte cose le sbaglierete di sicuro, ma meglio l’errore della piatta ed accidiosa inerzia di noi che vi abbiamo preceduto.
Quindi cominciate dal vostro piccolo, dalla vostra vita di tutti i giorni, ed iniziate a mettere sotto la lente d’ingrandimento le vostre abitudini, rompendo pure le scatole a chi vi sta più vicino: questa è una battaglia che difficilmente può essere vinta con logiche “top-down”, calate dall’alto, ma viceversa pretende un approccio “bottom-up”, che parta dalla base, da ciascuno di noi. Io, nel mio piccolo, mi candido per provarci. E adesso vado di là, per cui uscendo devo ricordarmi di spengere la luce.

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Alberto Delaini
alberto@delainipartners.it
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