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Silvia De Martino
cell. 3298420554
silvia.demartino@ mondipossibili.eu |  | Il lavoro cambia. Sappiamo cambiare anche noi?
Istruzioni per l'uso
La situazione in cui si trova il nostro Paese è delicatissima per la pandemia che ancora non è stata sconfitta e per le conseguenze economiche e sociali che l’hanno aggravata in termini di disoccupazione, povertà e disperazione: infatti, il nostro Paese era già afflitto da questi mali per un’inerzia delle politiche del lavoro, basata più su assistenzialismo, mancanza di sviluppo e sfruttamento di molti giovani lavoratori piuttosto che su veri investimenti in innovazione e ricerca.
La partita più importante, comunque, è quella del lavoro, da salvare, da incentivare e da creare. Non credo più alla favola del “siamo tutti imprenditori”, sollecitando i giovani a realizzare la propria idea imprenditoriale, salvo poi vederla fallire dopo pochi mesi: non occorre solo talento per fare gli imprenditori, ma anche altri fattori cruciali come un ambiente stimolante, un sistema territoriale favorevole nonché… un piccolo capitale di partenza, magari anche solo di “reputazione”!
Il lavoro cambia: sappiamo cambiare anche noi?
La prima cosa da chiarire è che si può essere imprenditoriali anche all’interno di una impresa che stimoli innovazione e creatività a tutti i livelli! Un esempio potrà servire a chiarire meglio cosa intendo dire. Un mio giovane coachee, insoddisfatto del lavoro garantito all’interno di una grande banca internazionale, sentendosi “spento” (è la sua espressione) perché, pur a fronte di un titolo di studio molto alto (dottorato in matematica), non si sente minimamente realizzato, decide di cercare un altro lavoro che corrisponda meglio alle sue aspettative e potenzialità. Dopo un paio di mesi, riceve una proposta da una startup inglese che si occupa di finanza sostenibile, cioè di supportare quelle aziende che nel mondo combattono contro il cambiamento climatico e l’inquinamento. Dopo alcuni colloqui, la società gli offre di entrare a pieno titolo nell’impresa, ma con un guadagno inferiore a quello della confortevole banca… I dubbi del mio coachee non riguardano affatto la perdita di reddito, comunque non enorme, bensì la preoccupazione di “non essere all’altezza”, visto che per un paio di anni la sua testa è stata scarsamente sollecitata.
Conoscendo assai bene il potenziale del mio coachee, gli ho fatto notare come si fosse sempre cimentato con sfide molto difficili, non solo nel lavoro, e ce l’avesse sempre fatta egregiamente.
Alla preoccupazione, instillatagli da genitori iperprotettivi, che il lavoro non fosse sicuro perché si trattava di una startup, gli ho fatto notare che anche lui avrebbe potuto partecipare attivamente all’obbiettivo di far funzionare bene l’impresa, facendo ricerca sulle aziende migliori, cercando investitori e così via.
Alla fine, ha accettato ed io incrocio sempre le dita…
Ma questo è lo spirito, a prescindere dal titolo di studio, con cui affrontare il lavoro oggi.
Occupabilità invece di occupazione
Invece, a livello politico e anche delle agenzie che si occupano di lavoro, si continua a parlare di occupazione, quando il concetto veramente centrale per il futuro del lavoro è l’occupabilità, ossia la capacità di ciascun lavoratore di trovare facilmente un lavoro soddisfacente, che va di pari passo con la formazione continua, lo sviluppo delle potenzialità anche personali, l’aggiornamento e la riconversione professionale: queste mi sembra siano le modalità più efficaci per entrare e rimanere al passo con un mondo del lavoro che cambia molto in fretta.
È opportuno, quindi, fare orientamento e valutazione delle potenzialità dei giovani e dei meno giovani in funzione della loro ambizione, dei loro progetti e dell’occupabilità da parte delle imprese.
Ma prima di tutto, occorre capire quali siano le esigenze delle imprese in termini di profili professionali, nell’immediato e a tendere (2-3 anni) per poter attivare politiche di orientamento, di coaching e di formazione efficaci, promuovendo quell’equilibrio tra le inclinazioni delle persone e le tendenze del mercato del lavoro. Su questa base credo si possano fondare efficaci politiche del lavoro.
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Formazione “blended”
Sarebbe auspicabile lanciare al più presto una veloce ricerca presso le aziende più innovative, per comprendere quali siano per loro i profili professionali richiesti adesso e che, di lì a qualche anno, saranno necessari per le altre.
Noi ed i nostri partner tecnologici e di formazione blended, siamo pronti a compiere questa missione, che darà vita ad una piattaforma digitale in grado di cercare sul mercato del lavoro tali profili, orientare i giovani e i meno giovani verso le migliori opportunità di formazione, validare l’acquisizione delle competenze necessarie alla più efficace interpretazione dei ruoli richiesti. |  | X

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Il reddito di cittadinanza, lungi dall’aver “abolito la povertà”, ha dato scarsi risultati con enormi costi di gestione, dai navigators al miracoloso software del Mississippi portato da Parisi …
Penso invece che un reddito dovrebbe essere assicurato, con gli opportuni controlli e in modo efficace e non assistenziale a questi percorsi di orientamento, formazione e validazione delle competenze, per poi, da imprenditori di sé stessi, trovare il lavoro giusto per ognuno.
Infatti, la vera emancipazione dalla povertà passa per il lavoro scelto, cui si è dedicato impegno e costanza, dall’ ingegnere al barista: c’è modo e modo, infatti, di fare il barista… |