 | Stranissima fine d’anno trascorsa in pochi, tassativamente conviventi e richiusi in casa per non incappare nel coprifuoco. Trasformati in tante Cenerentole costrette a rientrare ben prima della mezzanotte. Persino i radi fuochi d’artificio risultavano stonati, loro che si affannavano per creare un’atmosfera che, con un orrendo gioco di parole, potremmo a buon diritto chiamare “artificiale”.
Ma bando alle malinconie: adesso si ricomincia, anzi si è già ricominciato a dispetto del fatto che io mi trovo a consultare internet ogni tre per due per capire a) in quale colore è finita oggi la mia regione; b) se mia moglie può fissare l’appuntamento dall’estetista oppure può andare solo dalla parrucchiera.
Tornando seri
Devo dire che peraltro le poche volte che (standone fuori!) mi sono avvicinato alle autostrade ho sempre visto gran file di camion, che costituiscono un indicatore qualitativamente molto affidabile sullo stato dell’economia. Sono pure sfilato, sempre senza entrarci, davanti a qualche grande centro commerciale ed ho assistito stupefatto a feroci assalti all’arma bianca per abbordare l’ultimo posto macchina libero. Ma questo può far parte dell’esigenza di evadere dalle proprie quattro mura a qualsiasi costo e con qualsiasi pretesto.
Tutti questi elementi – e molti altri, devo dire – sono più espressivi di qualsiasi analisi di mercato (commissionata da chi e perché?) e da qualsiasi conferenza stampa ammannita su scala nazionale, regionale o di quartiere. Credo possano dare il termometro di quanta voglia di fare e di ripartire, spesso condita da una assoluta incoscienza epidemiologica, covino sotto la realtà che i Media ci propinano.
Si tratta di un immenso serbatoio di energie positive: penso a tutta la ristorazione che si sta reinventando a cavallo tra l’asporto e l’e-commerce. Penso a tante iniziative coraggiose fino alla temerarietà che lasciano trasparire una eccezionale voglia di fare. In fondo, dopo ogni guerra si ripete una istantanea ed incredibile impennata di ripresa, quasi l'ansia di recuperare il tempo perduto. E noi, guerra o non guerra, di voglia di recuperare ne abbiamo tutti. Sono pochissimi quelli con cui ho parlato per motivi personali o professionali che dopo quest’anno di black-out non mi abbiano espresso un sogno o un’utopia che gli cresceva dentro.
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Ai miei tempi …
Ai miei tempi, almeno una volta all’anno, si faceva sciopero per evitare una mattinata di scuola. I pretesti, tutti cervellotici, variavano di volta in volta. Nel ’68-’69 ho pure occupato l’università per motivi in questo caso legittimi (lo penso anche adesso), ma vedere i giovani che occupano la scuola perché vogliono tornarci mi intenerisce e allo stesso tempo mi esalta. Davvero forti questi ragazzi, meritano di non essere lasciati all’ultimo posto nelle scelte politiche e partitiche. Io, viceversa, mi limito allo stantio ritornello del "ai miei tempi ..."
Qualche giorno fa stavo facendo una passeggiata con mia moglie appena fuori città e ogni tanto tastavo nelle tasche per assicurarmi che la preziosa giustificazione … scusate, volevo dire autodichiarazione, fosse sempre al suo posto. Ho incrociato un gruppetto di quattro o cinque ragazzine con due adulti di scorta che tenevano in mano grandi sacconi grigi.
La prima – avrà avuto forse dieci anni – mi ha chiesto cortesemente se gradivo uno dei foglietti che stringeva in pugno e che riporto a lato. La seconda, con fare professionale, ha chiesto se facevamo la raccolta differenziata ed ha annotato immediatamente la risposta - positiva altrimenti non lo riferirei - sul notes che impugnava tutta compunta. Una sola domanda, la più breve intervista della mia carriera.
Poi, incoraggiate dal nostro aspetto da nonni, si sono lasciate andare a raccontare la loro grande impresa: stavano percorrendo la stradina di campagna per raccogliere tutto quanto la gente butta via, carte, sacchetti di caramelle, mascherine e mille altri sottoprodotti della nostra inciviltà. Che Dio le benedica! |  | X

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