Editoriale | Delaini & Partners

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La storia è leggermente datata – roba di un mese fa – ma non riesco a togliermela dalla testa.
Il tennis non è stato uno sport che mi abbia regalato successi: questione di attitudine, non di passione. Eppure, sabato 14 novembre ho seguito la finale del Torneo ATP di Sofia trepidando per ogni punto – anche quelli mancati – di Jannik Sinner e mi sono ritrovato stremato al termine del tie break vittorioso. Nemmeno in campo ci fossi stato io.
Con quelle sue magliette dai colori improbabili e quel cappellino a visiera che non riesce a contenere i capelli rossi, potresti prenderlo per un raccattapalle a cui sia stato concesso in premio di scendere sulla terra rossa (una volta si diceva così) contro i campioni più affermati. Lui parla poco, è sempre misurato dentro e fuori campo, non urla di gioia per una vittoria e nemmeno spezza racchette se perde. In Val Pusteria, la sua terra, queste cose non si fanno.
Conosco il tipo: oltre che a tornarci ogni volta che posso, da quelle parti ci ho fatto pure il Sottotenente degli Alpini, una vita fa, quando il turismo da quelle parti non c’era ma la povertà sì. I ragazzi del mio reggimento erano quasi tutti di lingua tedesca o ladina, parecchi venivano da malghe e alpeggi dai quali non scendevano a valle per un mese. Altri tempi. Avevano la testa dura e nessuna paura di mettere in discussione l’autorità senza appello rappresentata da una stelletta sulla spalla. Ci siamo scontrati, ci siamo misurati, ci siamo capiti, ci siamo apprezzati.

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Questione di testa
Non sono minimamente qualificato per esprimere una valutazione tecnica, ma un diciannovenne con la forza mentale e l’equilibrio di Jannik avrebbe un notevole potenziale in qualsiasi campo. Uno che prima di cedere dà il 110%.
Non so parlare di tennis ma mi interessano le persone. Questo ragazzo mi ricorda i tantissimi che nell’attuale contesto economico e personale che ci rema contro non mollano. Non si chiedono perché, non si chiedono per quanto tempo, non si pongono che un unico, esistenziale, obiettivo: riuscire a farcela.
Non sono necessariamente giovani, non sempre hanno un fisico atletico, sicuramente sanno che non esistono telecamere che inquadrino i loro sforzi e – permettetemi – i loro piccolo eroismi, quasi sempre celati conr pudore. Testa bassa, sguardo deciso ma mai cattivo o ostile o rancoroso, iniziano e chiudono le giornate dando sempre tutto quello che hanno dentro. A volta scoprono pure di essere capaci di imprese per le quali non ritenevano di avere qualità o attitudine.
Sono i tantissimi che non fanno notizia ma che permettono al nostro e ad altri Paesi di resistere all’urto della pandemia. E’ questione di testa, non di capacità.
Un esempio datato
Nella millenaria storia di noi bipedi dotati - dicono - di intelligenza, i momenti difficili non sono mai mancati. Non tutti i governanti amano ammettere le criticità e dichiarare senza infingimenti che occorre mettercela tutta. Un inglese con il sigaro, tal Winston Churchill, appena divenuto Primo Ministro ha avuto l’impudenza di annunciare ai connazionali che li aspettavano “lacrime e sangue”, anzi più precisamente parlò di “sangue, fatica, lacrime e sudore» (letteralmente: blood, toil, tears and sweat) se volevano uscirne vincitori. Era il 1940. Non mi pare di ricordare che politici di qualsiasi nazione siano oggi altrettanto schietti nell’assumersi la responsabilità di decisioni indubbiamente difficili e impopolari. Meglio mandare avanti a seminare terrore una coorte di epidemiologi, virologi, coordinatori di astrusi comitati tecnico-scientifici. Questione di personalità, di stile ma anche, lo dico sommessamente, di onestà
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Volontà e creatività
Però non sarà solo con la testa che potremo farcela, occorrerà aggiungerci il cuore, l’anima, l’entusiasmo, qualunque sia pur minima capacità che riusciamo ad estrarre dal nostro io. Mi torna in mente ancora l’adorata Val Pusteria. Ero tornato là con la famiglia e stavo mandando avanti a fatica un branco di figli piccoli, quasi fossi il loro cane da pastore. Credo fossimo dalle parti di Campo Tures.
Siamo passati davanti ad una casa nel bosco, niente di speciale, e io stavo pensando ad altro. Mi sono fermato dopo pochi passi perché capivo di aver visto qualcosa, qualcosa che avevo inquadrato di sfuggita con la coda dell’occhio. Tornato indietro ci ho messo un po’ a mettere a fuoco la meraviglia che aveva attratto il mio inconscio e che all’improvviso mi si è svelata: tra i pezzi di pino, accatastati con cura meticolosa in attesa della stufa, qualcuno aveva inserito un tocco delicato, una enorme stella alpina realizzata con legno di cirmolo, dalle tonalità appena più scure del resto.
Non penso che quel tipo si fosse laureato ad Oxford o al MIT né che avesse studiato pittura alla Sorbona, era solo un animo gentile che aveva fatto un lavoro necessario e pesante inserendoci un qualcosa in più, qualcosa che gli era sbocciato dentro.
Se impariamo da persone come questa a coniugare impegno e creatività, sicuramente usciremo alla grande dal maledetto Covid che, come tutti i flagelli, tende a far venire a galla la parte peggiore di alcuni ma non di tutti.

Vi affido la foto che, anche se quasi casuale, è una delle più significative che mi sia capitato di scattare: costituisce il mio augurio per un Buon Natale indirizzato a ciascuno di voi.
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Alberto Delaini
alberto@delainipartners.it
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