Editoriale | Delaini & Partners

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Mi è venuto un “colpo di matto” - come diceva mia nonna - sono salito in macchina e ho guidato fino a Reggio Emilia … per giocare a rugby.
Non sono impazzito, come qualche collega ha ipotizzato, ma ho semplicemente accolto l’invito degli amici di BluPeak per partecipare al workshop “Se l’azienda fosse ovale”. Il titolo mi aveva incuriosito, il sottotitolo era decisamente intrigante: il rugby come metafora delle relazioni interpersonali. Diciamo pure che non pensavo che facessero proprio sul serio, non potevo credere - a dispetto dell’annunciata presenza come coach di Erika Morri, ex azzurra della disciplina – che la giornata si sarebbe materializzata proprio "sul campo". Invece è stato così.

Sport e team buiding
Torniamo all’inizio. Non so più quanti siano i lustri che mi separano dai lontani (e affatto gloriosi) trascorsi sportivi, ma ho sempre pensato che l’abitudine all’agonismo possa avere un ruolo rilevante nel disegnare il comportamento e persino nell’impostare la mentalità professionale. Più che altro ero intrigato dal fatto di capire come uno sport potesse fornire indicazioni utili a modificare le relazioni interpersonali e migliorare il clima aziendale.
Del rugby sapevo quanto so del cricket o del curling: mai vista una partita, nemmeno in televisione. Ho sempre subito però il grande fascino di certe fotografie con meravigliosi gesti atletici o con bambini biondi che corrono tutti infangati, nello sguardo il sacro fuoco dell’entusiasmo.
Le sorprese sono iniziate quando mi hanno presentato Erika Morri. Per essere una che ha vissuto da protagonista tre mondiali di rugby, mi aspettavo una valchiria e sono rimasto sconcertato a stringere la mano ad uno scricciolo biondo che trasmetteva comunque una carica di magnetismo ed energia. Non mi stupirei a vederla spostare in mischia l’Empire State Building. Ed è così che ho scoperto passo passo uno sport fatto proprio per tutti, piccoli e grossi, agili e potenti.
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La HAKKA

Dopo tanti anni e con una desuetudine allo sport sbandierata impietosamente dal girovita, mi sono ritrovato strizzato in una maglietta con il numero sulle spalle, coinvolto nei passaggi di quella strana palla ovale, iniziato ai riti dell’entrata in campo e dello scambio di “hurrà” indirizzati alla squadra avversaria (ma quando mai succede nello sport o nella vita?), iniziato ai misteri di quella intricata ma razionale disposizione di corpi che si realizza nella mischia, immerso nei ruoli e nelle strategie del gioco.
Non c’è stato tempo per imparare la “Hakka” vera ma ce ne siamo fatti una di taglio casereccio e nella partitella finale ci siamo risparmiati i placcaggi che avrebbero provocato di certo un affollamento del reparto traumatologico più vicino.

Appartenenza e “terzo tempo”
La sera è arrivata in un baleno e, mentre rientravo un po’ acciaccato ma decisamente fiero, mi sono fatto da solo qualche domanda. Credo veramente che nei nostri team si stia ampliando il distacco tra le persone e l’azienda, tra gli interessi e gli obiettivi del singolo e quelli del gruppo. Anni fa, molti anni fa probabilmente, non era così: lo spirito del Brand lo sentivano un po’ tutti. Chi più e chi meno, certamente, però un po’ di orgoglio di appartenenza lo captavi nell’aria in quasi tutti i contesti.
Forse non sarebbe nemmeno difficile tornare a ricrearlo, basta pensarci e impegnarsi un po’, a partire dalle figure apicali che non possono rimanere – ed essere percepite – come appartenenti a mondi differenti. Analogamente, non è sufficiente una cena aziendale l'anno per creare l’affiatamento perché tutti abbiamo bisogno del clima del “terzo tempo” del Rugby, quello in cui i ruoli e le differenze, addirittura i colori delle maglie, sfumano per lasciare il posto ad una interazione schietta ed immediata, che lascia da parte i formalismi e porta ogni uomo (o donna, naturalmente!) a confrontarsi con un altro uomo.
Ho trovato più di un'idea, ho scoperto più di una conferma: nel mio piccolo mondo proverò a pretendere da me stess qualcosa di meglio.

Buona lettura di Breaking News!
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Alberto Delaini
alberto@delainipartners.it
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